mercoledì 1 maggio 2019

Kant

Immanuel Kant è uno dei massimi esponenti del pensiero occidentale, a cui ha dato un'impronta nuova segnando una vera e propria svolta nel panorama filosofico moderno. Kant capovolge i rapporti tra soggetto e oggetto nell'ambito del processo conoscitivo, assegnando un ruolo fondamentale al primo nell'elaborazione dell'esperienza.
Kant nasce il 22 aprile 1724 a Konigsberg dove trascorre l'intera esistenza dedicandosi agli studi e all'insegmaneto, e muore nel 1804. 
 Lui seguiva due correnti diverse di pensiero: 

  • il citicismo
  • precritica
In questo periodo Kant si forma sui testi dei razionalisti e degli empiristi. Infatti studia la metafisica di Leibniz e approfonosce la fisica di Newton. Kant dopo aver analizzato le due correnti più importanti comincia a nutrire i primi dubbi sulla validità della metafisica, fino a dichiarare di essere stato svegliato dal ''sonno dogmatico'' grazie alla lettura di Hume. Scrive quindi il saggio intitolato Sogni di un visionario chiariti con i sogni della ömetafisica, in cui giudica la metafisica non meno illusoria dei sogni di un visionario. 
  Secondo Kant l'uomo può conoscere in modo obiettivo soltanto ciò che concerne l'esperienza fenomenica, cioè tutto quello che rientra nella sfera della sensibilità, i cui materiali sono organizzati dal soggetto attraverso specifici strumenti intellettivi.
 L'opera fondamentale di Kant è la Critica della ragion pura;  a essa seguono la Critica della ragion pratica e la Critica del giudizio.
L'indagine della ragione è una questione che Kant affronta nella prima delle sue Critiche, in 'cui indaga a fondo il rapporto tra la conoscenza sensibile e quella razionale.  Il punto di partenza della sua indagine è la domanda intorno alla possibilità della metafisica come 


scienza. A questo scopo, il filosofo intuisce un processo alla ragione stessa, per vagliare le fonti da cui possiamo validamente attingere per le nostre conoscenze e stabilirne al tempo stesso i limiti. 
Kant osserva che la scienza produce conoscenze affidabili in quanto si basa su giudizi sintetici a priori.  Questo implica che nell'atto conoscitivo intervengano due aspetti:

  • un contenuto empirico, costituito dalle impressioni sensibili derivanti dall'esperienza 
  • forme a priori, cioè delle modalità con cui la mente umana ordina e unifica tali impressioni
Questa visione della conoscenza comporta un ribaltamento dei rapporti tra soggetto e oggetto: se infatti nella precedente riflessione era la mente a doversi adeguare alla realtà, ora è la realtà che, nell'atto conoscitivo, si deve adeguare alle facoltà umane attraverso cui è percepita e ordinata, detta anche rivoluzione copernicana. 










 Kant analizza le due forme valide di conoscenza, quella sensibile e quella intellettiva, rispettivamente nelle due parti della Critica della ragion pura intitolate Estetica 


Trascendentale e Analitica Trascendentale. Le forme a priori vengono individuate nello spazio e nel tempo: esse sono le condizioni in virtù delle quali si percepiscono gli oggetti. 


Più in particolare, lo spazio è una rappresentazione a priori che sta a fondamento di tutte le intuizioni delle cose esterne; il tempo invece è un'intuizione pura che sta alla base della percezione dei nostri stati interiori. La sensibilità costituisce il primo gradino della conoscenza, ma per ottenere la conoscenza autentica dobbiamo spingerci oltre il pensiero, il quale si articola a sua volta in intelletto e ragione. E' grazie all'attività ''sintetica'' dell'intelletto che gli oggetti da noi intuiti vengono unificati attraverso i concetti puri o categorie. Per Kant la sensibilità e l'intelletto sono indispensabili alla conoscenza: l'eseperienza senza i concetti è cieca, mentre i concetti senza l'esperienza sono vuoti.

LA FACOLTA' DI GIUDICARE
L'attività del pensiero è attività unificatrice dell'esperienza che si esplica attraverso i concetti e secondo modalità comuni a tutti gli uomini; essa coincide con la facoltà di "giudicare", cioè collegare un concetto a un soggetto.
Per Kant i concetti sono di due tipi: quelli empirici, che derivano dall'esperienza grazie ad un procedimento di astrazione delle caratteristiche generali e comuni dei vari oggetti sensibili, e quelli puri, cioè i contenuti a priori dell'intelletto. Kant procede a compilare una tavola completa basandosi sulla tavola dei giudizi: se infatti pensare equivale a giudicare, ci saranno tante categorie quanti sono i tipi di giudizio.











 IL PROBLEMA DELLA CONOSCENZA NELLA CRITICA DELLA RAGION PURA
 Secondo Kant l'uomo può conoscere in modo obiettivo soltanto ciò che concerne l'esperienza fenomenica cioè tutto quello che rientra nella sfera della sensibilità, i cui materiali sono organizzati dal soggetto attraverso specifici strumenti intellettivi.



L'INDAGINE SULLA RAGIONE
 Si tratta di una questione che il filosofo affronta nella prima delle sue critiche, in cui indaga fondo il rapporto tra la conoscenza sensibile e quella razionale. Il punto di partenza della sua indagine è la domanda interna la possibilità della metafisica come scienza. A questo scopo, il filosofo istituisce un processo alla ragione, dinanzi al tribunale della ragione stessa, per vagliare  le fonti da cui possiamo validamente attingere le nostre conoscenze e stabilirne al tempo stesso i limiti. Kant osserva che la scienza produce conoscenza affidabile in quanto si basa su giudizi sintetici a priori. Questo implica
che nell'atto conoscitivo intervengono due aspetti: un contenuto empirico, costituito dalle impressioni sensibili derivanti dall'esperienza, e delle forme a priori, cioè le modalità con cui la mente umana ordina e unifica tali impressioni.  Questa visione della conoscenza comporta ribaltamento dei rapporti tra soggetto e oggetto: se infatti nella precedente riflessione filosofica era la mente a doversi adeguare alla realtà, ricevendo passivamente i dati dell'esperienza, ora è la realtà che, nell'atto conoscitivo, si deve adeguare alle facoltà umane attraverso cui è percepita e ordinata (Rivoluzione copernicana).

LE FORME DELLA CONOSCENZA
 Kant analizza le due forme valide di conoscenza, quella sensibile e quella intellettiva, rispettivamente nelle due parti della critica della tua ragione pura intitolate estetica trascendentale e analitica trascendentale. Le forme a priori della sensibilità vengono individuate nello spazio nel tempo: e se sono le condizioni in virtù delle quali si percepiscono gli oggetti.  La sensibilità costituisce il primo, necessario, gradino della conoscenza, ma per ottenere la conoscenza autentica dobbiamo spingerci oltre, per indagare una facoltà superiore: il pensiero, il quale si articola sua volta in intelletto e ragione. E grazie l'attività "sintetica" dell'intelletto che gli oggetti da noi in intuiti sulla base della sensibilità vengono ulteriormente unificati a  attraverso i concetti puri o categorie. Per Kant la sensibilità e l'intelletto sono entrambi indispensabili alla conoscenza: l'esperienza senza concetti acceca, mentre concetti senza esperienza sono vuoti.



L'IO PENSO
 Ehi si fa il filosofo ricorre all'io penso, la suprema funzione sintetizzata dice, base di tutta la conoscenza. Senza l'io penso, detto anche autocoscienza o appercezione trascendentale, l'uomo avrebbe rappresentazioni confuse e disperse, e inoltre non potrebbe riferirle a se stesso. La fondazione del processo conoscitivo sull'io penso, che nella sua attività sintetizza attrice dell'esperienza utilizza le categorie, giustifica l'applicazione di queste ultime alla realtà, che è conoscibile solo in relazione alla funzione di categorizzazione operata dall'io penso.

FENOMENO E NOÙMENO
 La realtà di cui Leo penso è il legislatore tuttavia è  unicamente la realtà fenomenica, ossia la realtà che appare all'uomo attraverso le sue facoltà e che costituisce l'orizzonte entro cui egli può ottenere la vera conoscenza. La dimensione che si estende al di là del fenomeno, cioè la dimensione delle cose in sé, è per Kant "pensabile" aperta tonda (è infatti denominata "noùmeno", ciò che é pensabile") ma non "conoscibile".

LA FUNZIONE REGOLATIVA DELLA RAGIONE
La metafisica, in quanto avanza la pretesa di costruire idee che vanno oltre l'esperienza possibile, è contraddittoria. Infatti Kant, nell'ultima sezione della prima critica, dedica alla dialettica trascendentale, dimostra l'infondatezza delle tradizionali prove psicologiche, cosmologiche e teologiche.  Tali prove si basano sulle idee metafisiche di anima, mondo e Dio che, presupponendo una totalità in accessibile all'intelletto umano, non hanno valore conoscitivo, ma soltanto "regolativo", perché rispondono a un bisogno dell'animo umano di andare oltre il finito e la natura: l'uomo si compara "come se" l'anima fosse immortale, il  mondo fosse un cosmo ordinato e Dio esistesse, pur senza poterlo dimostrare.


Hume

David Hume nasce a Edimburgo il 26 aprile 1711, dove compie la sua formazione. Torna dopo vari viaggi e incarichi e muore nel 1776.Lui afferma che tutta la nostra conoscenza si basa su impressioni (percezioni immediate e vivide) e idee (immagini illanguidite delle impressioni), che il nostro intelletto unisce in configurazioni più ampie e complesse in virtù della memoria e dell'immaginazione.  Hume sostiene che memoria e immaginazione consentono di conservare le impressioni e collegare le idee, tuttavia la mente è totalmente libera perché procede secondo il principio di associazione, il quale opera in base a tre criteri:
  • somiglianza
  • contiguità
  • causalità 
La nostra mente quindi è portata da questa ''dolce forza'' ad associare le idee che si presentano simili, contigue o legate da un nesso causa-effetto. Le idee che ne derivano sono idee complesse; che garantiscono una conoscenza certa quando derivano da pure relazioni tra idee; una conoscenza probabile quando derivano da relazioni tra dati di fatto, le quali implicano il principio di casualità. Esso deriva da una tendenza soggettiva (abitudine) a cogliere una connessione necessaria tra due eventi successivi e contigui. Dall'abitudine deriva la credenza, cioè la tendenza a considerare esistenti determinate realtà, ad esempio quella del mondo esterno e dell'io. 
Anche per l'idea di sostanza si può osservare quanto rilevato a proposito dell'idea di causa: essa è arbitraria e priva di valore assoluto perché risiede nell'inclinazione del soggetto a unificare le varie impressioni che si presentano regolarmente connesse nell'esperienza, riferendole a un ipotetico fondamento sostanziale. 
Per ciò che riguarda la dimensione etica, Hume è convinto che non esistano valori assoluti cui rifare riferimento e che la morale debba poggiare sul criterio empirico dell'utilità sociale. Infatti la legge di Hume stabilisce che non è possibile dedurre il piano del dover essere, cioè delle prescrizioni, da quello dell'essere, cioè dal piano descrittivo dell'esperienza contingente, in cui si può valutare l'utilità di determinati comportamenti. Ciò non implica una dissoluzione della morale, in quanto Hume ammette l'esistenza di un 'senso morale' comune e tutti gli uomini che garantisce la possibilità di individuare principi etici condivisibili.

Siamo noi che giudichiamo necessario che il sasso rompa il vetro, o che il fuoco scotti, ma nel sasso e nel fuoco non c'è una simile "necessità".


I PUNTI FONDAMENTALI DELL'ARGOMENTAZIONE HUMIANA:
1.l'esperienza attesa la regolare contiguità e successione di due eventi;
2. l'immaginazione, sorretta dall'abitudine, porta e credere che il rapporto sia necessario e che, nel futuro, i due eventi saranno ugualmente collegati;
3.tale legame, tuttavia, esiste solo nella nostra mente, come abitudine soggettiva a collegare un fenomeno A ( ad esempio il fuoco) a un altro fenomeno B (la combustione)
4. la relazione causa-effetto non è necessaria né soggettiva, ma risiede in un'attitudine soggettiva





domenica 24 marzo 2019

L'empirismo inglese

L'empirismo, è la corrente filosofica, nata nella seconda metà del Seicento in Inghilterra, secondo cui la conoscenza umana deriva esclusivamente dai sensi o dall'esperienza. I maggiori esponenti dell'empirismo anglo-sassone furono John Locke, George Berkeley, e David Hume: costoro negavano che gli esseri umani avessero idee innate, o che qualcosa fosse conoscibile a prescindere dall'esperienza.
L'empirismo si sviluppò in contrapposizione al razionalismo, corrente filosofica il cui esponente principale è stato Cartesio. Secondo i razionalisti, la filosofia dovrebbe essere condotta tramite l'introspezione e il ragionamento deduttivo a priori. Secondo gli empiristi, invece, si considera alla base del metodo scientifico l'idea che le nostre teorie dovrebbero essere fondate sull'osservazione del mondo piuttosto che sull'intuito o sulla fede.
L'empirismo è una diversa tradizione di pensiero, secondo cui la ragione è impotente senza il ricorso all'esperienza e quindi è limitata e condizionata. Per l'empirismo la conoscenza si origina a partire dall'esperienza sensibile e la ragione non deve entrare nel territorio della metafisica.
                                                                                                                                               Gli empiristi utilizzano una forma di comunicazione chiara e semplice comprensibile dalle persone di buon senso. Isaac Newton fu il promotore del nuovo sapere e della rinnovata immagine della ragione. Grande influenza sul pensiero filosofico del Settecento, ebbero, in particolare, le sue "regole" metodologiche:
-la prima regola stabilisce che devono essere ammesse solo le cause sufficienti a spiegare il fenomeno;

- la seconda regola stabilisce che a effetti simili devono essere assegnate le medesime cause naturali;
-la terza regola invita stabilisce di attribuire ai fenomeni dello stesso genere la stesse cause;
- la quarta regola sostiene che nella filosofia sperimentale le proposizioni ricavate per induzione dai fenomeni devono essere considerate vere.
Isaac Newton non accetta le proposizioni che non sono deducibili logicamente dai fenomeni non avendo riscontro nella realtà. Gli empiristi non sono filosofi di professione, ma sono legati al mondo della scienza e del diritto. Secondo Locke accertare i poteri e i limiti dell'intelletto umano è utile per l'esistenza concreta. Una volta esaminata la potenzialità della mente ci si potrà occupare di quei campi che sono alla nostra portata e si potrà evitare l'atteggiamento di chi pretende di sapete o tutto o niente. Per individuare i limiti della ragione Hume esclude dalla filosofia e dalle indagini scientifiche tutte le questioni che vanno al di là degli strumenti conoscitivi dell'uomo.

John Locke è il padre dell'empirismo moderno. Nella sua ricerca Locke propone un'indagine delle facoltà conoscitive con l'obiettivo di stabilire le possibilità e i limiti. L'analisi delle facoltà conoscitive permette di maturare prospettive realistiche rispetto alle competenze che l'uomo potrà conseguire, e quindi potrà acquisire la consapevolezza che potrà ottenere un livello di conoscenza sufficiente che gli permetta di guidare nel modo migliore le sue azioni. La prima parte del Saggio sull'intelletto umano è dedicata alla critica delle idee innate, che consisteva nel ripulire il terreno dai detriti che si incontrano sul cammino della conoscenza. Secondo Locke vi sono idee o principi nella nostra mente che l'anima riceve fin dall'inizio della sua esistenza. Questa antichissima dottrina veniva dimostrata in base alla presenza di un certo numero di verità fondamentali in ogni uomo, sostenendo la tesi "E' impossibile che una cosa sia e non sia allo stesso tempo". 
Locke sostenne che tale tesi fosse falsa in quanto diceva che i bambini e gli idioti non hanno la minima nozione di simili principi intorno ai quali non esiste un consenso universale. Inoltre sosteneva che l'idea di Dio varia da individuo a individuo e inoltre molti popoli non la possiedono per nulla. Secondo Locke la disparità di vedute respingono l'innatismo facendo vedere la falsità delle argomentazioni che lo sostengono e ostacolano il progredire della conoscenza.
 Locke sosteneva che la conoscenza dipende interamente dall'esperienza, dalla quale derivano due tipologie di idee:                                                    

- le idee di sensazione;

- le idee di riflessione.

Le idee di sensazione provengono dagli oggetti esterni tramite i cinque sensi, attraverso i quali fin da piccoli possiamo riempire la nostra mente. Le idee di sensazione sono quelle che derivano dall'esperienza interna che comprende gli stati d'animo e le passioni. La sensazione e la riflessione sono le uniche fonti della nostra conoscenza. Le cognizioni dei bambini sono varie a seconda delle esperienze che essi fanno. Locke passa poi a trattare la distinzione tra le
- idee semplici; derivano dalle esperienze elementari e sono dotate di certezza
- idee complesse; provengono dall'elaborazione delle idee semplici e si distinguono in: 
- idee di modi; non sussistono di per sé ma sempre in relazione a una sostanza 
- idee di sostanze; sono riferite a qualcosa di esistente in sé che funge da sostrato
- idee di relazioni; derivano dal rapporto istituito tra idee semplici
Locke afferma che la conoscenza è circoscritta alle certezze sensibili, esterne o interiori, ed è probabile quindi a orientarsi nel mondo ma non assoluta. Le uniche certezze non sensibili sono quelle dell'io e di Dio. Locke deduce quindi una nuova immagine della ragione, non più assoluta e auto evidente, ma dotata di poteri finiti e limitati.

Leibniz e l'universo com organismo vivente

L'INSODDISFAZIONE PER IL MECCANICISMO

Leibniz si prodigò per la pace tra i popoli e le religioni, facendo proprio l'ideale dell'armonia universale, che costituisce la cifra di tutto il suo sistema filosofico. Egli ebbe un rapporto complesso con la sua epoca, fatto d'insoddisfazione per il meccanicismo allora dominante nella filosofia della scienza e d'intensa partecipazione alla vita sociale, politica e culturale. Fin da giovane la sua curiosità intellettuale s'indirizzò verso la filosofia, che egli intese come difesa della fede di Dio, contro la tendenza atea che si celava, nella scienza e nella filosofia moderne, dominate dalla pretesa di spiegare la natura meccanicamente, mediante la forma e il movimento dei corpi, facendo a meno di Dio e delle cause finali. Secondo Leibniz la fiducia nella scienza aveva condotto Hobbes all'empietà, ossia a sostenere l'impossibilità della dimostrazione razionale di Dio e dell'anima. Al contrario, la filosofia deve servire a rafforzare la fede, ed è proprio con l'obiettivo di difendere quest'ultima che Leibniz si applica allo studio della natura, in particolare all'analisi della struttura dei corpi.

IL RINNOVATO INTERESSE PER LE CAUSE FINALI

Il progetto leibniziano, consiste nell'interpretare i risultati della scienza moderna in una prospettiva che mostri i fini dell'universo. Leibniz concepisce un disegno, che da una parte, critica l'assolutismo del metodo della scienza e, dall'altra, riporta in primo piano il problema metafisico delle cause finali. In questo "processo" alla scienza moderna, egli opera un'inversione di tendenza rispetto a Galileo, bacone, Cartesio e Spinoza, e interpreta l'universo fisico muovendo dal modello umano, leggendolo in analogia con l'uomo, "ex analogia hominis".

sabato 9 febbraio 2019

Hobbes e lo stato assoluto


UNA PROSPETTIVA TEORICA RADICALE
Thomas Hobbes è una delle personalità più singolari del pensiero moderno e una figura che ancora oggi è significativa per la radicalità delle posizioni teoriche. Vissuto in uno dei periodi più instabili e sanguinosi della storia inglese, è assertore convinto dell'assolutismo regio, la concezione secondo cui al re, per diritto divino, spetta il potere assoluto, visto come l'unico baluardo contro l'inevitabile disordine a cui la società andrebbe incontro senza un governo monarchico che assommi in sé tutte le prerogative del dominio.



LA PROSPETTIVA MATERIALISTICA
Hobbes elabora una visione materialistica dell'universo in generale e dell'uomo.
Secondo lui i corpi sono l'unica realtà e il movimento è l'unico principio di spiegazione dei fenomeni naturali.
Da questo punto di vista anche l'attività mentale è ricondotta alla sensazione e al movimento: da questi due fattori derivano le immagini delle cose a cui vengono attribuiti dei nomi che vengono a loro volta connessi nei ragionamenti che fa l'uomo.
Dalle immagini degli oggetti deriva l'immaginazione, che non è nulla di immateriale, in quanto si occupa di connettere le sensazioni.
Collegando il concetto di ''corpo'' con quello ''animato'' e ''razionale'' otteniamo il concetto di ''uomo''; sottraendo ad esso il concetto ''razionale'' otteniamo quello ''animale''.
L'intelletto, per Hobbes, ha una funzione di computazione, in quanto collega i nomi attribuiti alle immagini delle cose grazie al linguaggio, il quale, a sua volta, svolge il duplice compito di memorizzazione e comunicazione.
Il linguaggio consente inoltre alla ragione di operare la generalizzazione necessaria alla costruzione della scienza.
E' grazie al linguaggio che possiamo esprimere il nostro pensiero.
Esso serve a far comprendere agli altri le cose che pensiamo e le connessioni che abbiamo stabilito tra esse.
Nella prospettiva materialistica hobbesiana anche i concetti di bene e di male sono conducibili alla corporeità, identificandosi con ciò che favorisce o danneggia la conservazione fisica dell'uomo.
La libertà, poi, si riduce alla ''libertà di fare ciò che la volontà ha deciso'', e non è mai ''libertà di volere'', essendo la volontà necessitata.


 LA TEORIA DELL'ASSOLUTISMO POLITICO
Le condizioni di benessere, per Hobbes, risiedono nella costituzione di un potere assoluto in grado di regolare e disciplinare gli istinti negativi dell'uomo, caratterizzati per natura di tendenze aggressive ed egoistiche.
Coerentemente con la visione materialistica Hobbes individua alcuni istinti fondamentali, come quello dell'autoconservazione, che spinge gli esseri umani ad agire sempre in vista del proprio utile. anche andando contro gli altri.
E' per questo che nello stato di natura (condizione che precede la formazione delle istituzioni e degli ordinamenti giuridici) regna la ''guerra di tutti contro tutti''. Si tratta di una situazione di massima libertà, ma anche di estrema insicurezza, in cui è messa a repentaglio la vita degli individui: ognuno ha un diritto illimitato sulle cose e non esita di certo ad usare la violenza per ottenerle o difenderle.
L'unica soluzione per uscire da questa situazione misera è seguire la via a noi indicata dalla ragione, la quale prescrive alcune leggi naturali fondamentali. Secondo tali indicazioni è razionale e opportuno che gli uomini sacrifichino i propri diritti naturali e costituiscano una società civile e politica.
A tal fine essi devono stabilire un patto di unione con cui le loro volontà convergono verso un medesimo obbiettivo, ossia la sopravvivenza collettiva; e un patto di sottomissione, grazie al quale cedono i propri diritti e poteri ad un uomo o ad un'assemblea di uomini, in grado di ridurre i diversi voleri ad una sola volontà.
Si tratta di un qualcosa di più di un semplice accordo.
Lo Stato (o Leviatano) che ne deriva ha un potere assoluto: esso deve emanare le leggi e farle rispettare punendo severamente chi le trasgredisce, ma non è obbligato ad obbedirvi a sua volta, essendo il patto stipulato dai sudditi tra loro e non con il sovrano. Esso ha inoltre il pieno controllo sulle azioni e opinioni di tutti e stabilisce i criteri del bene e del male.
Tuttavia, lo Stato ha anche dei limiti, in quanto non può emanare ordini che mettano a repentaglio la vita o l'incolumità fisica dei sudditi (sarebbe contrario al suo scopo di tutela della loro sicurezza), e deve lasciare un margine di libertà agli individui nella loro sfera privata.




IL LEVIATANO

Il Leviatano, o la materia, la forma e il potere di uno stato ecclesiastico e civile  è probabilmente il libro più conosciuto di Thomas Hobbes, pubblicato nel 1651 in inglese e nel 1658 in un'edizione riveduta in latino. Il titolo è ripreso dalla figura biblica del Leviatano. Il libro tratta il problema della legittimità e della forma dello Stato, rappresentato sulla copertina della prima edizione del testo come un gigante costituito da tanti singoli individui; il gigante regge in una mano una spada, simbolo del potere temporale, e nell'altra il pastorale, simbolo del potere religioso, a indicare che, secondo Hobbes, i due poteri non vanno separati. La filosofia politica di Thomas Hobbes è contenuta principalmente nel Leviatano, ma altrettanto importante è la trattazione contenuta nella precedente trattazione, il De cive e si fonda su due postulati, da cui si dipana l’intera trattazione:
- Ogni uomo è affetto da una bramosia naturale che lo porta a voler godere da solo di quei beni che dovrebbero essere comuni. Per Hobbes, quindi, l’uomo è un animale mosso meccanicisticamente da pulsioni egoistiche.
- Ogni uomo per natura ritiene la morte violenta il peggior male possibile e la sfugge in ogni modo; ovvero, in ogni uomo, sin dallo stato di natura, è insito l’impulso all’autoconservazione.

L’uomo quindi per Hobbes non è un animale politico o sociale: infatti, pur necessitando dell’aiuto degli altri, l’uomo non possiede un amore naturale per il suo simile. L’associazione in gruppi nasce così dal timore reciproco o dal bisogno, non certo dalla benevolenza. Il timore scaturisce dall’uguaglianza naturale degli uomini, che li porta a desiderare le medesime cose, e dall’antagonismo che deriva dai contrasti e dall’insufficienza di beni. Dati questi presupposti (l’uguaglianza naturale e la volontà di nuocere al prossimo) lo stato di natura è uno stato di guerra di tutti contro tutti, continua e costante; Hobbes lo definisce, con una celebre formula latina, bellum omnium contra omnes. Non essendoci legge, nello stato di natura non vi è nemmeno una distinzione di giusto e ingiusto e ciascun uomo ha diritto su qualsiasi cosa (ovvero, lo ius omnium in omnia), compresa la vita degli altri. Ma siccome l’istinto naturale dell’uomo lo porta a fuggire il male più grande che può concepire, cioè la morte violenta, e siccome lo stato di guerra continua non può che concludersi con la distruzione dell’umanità, la ragione umana, dotata della capacità di imparare dall’esperienza e provvedere al futuro, suggerisce l’adozione delle leggi e del vivere civile.
Per Hobbes, il primo di questi vincoli fondamentali è la legge naturale, ovverossia la proibizione di fare qualunque cosa provochi la distruzione della vita o l’impossibilità di avere i mezzi per conservarla al meglio. La legge naturale mira quindi a imporre all’uomo una disciplina che lo protegga dagli istinti antagonistici e che gli consenta di conseguire un miglioramento della propria vita (come del resto si prefigge di fare anche la filosofia). Da questi presupposti derivano tre leggi naturali:
- Conseguire la pace se ci sono i presupposti per ottenerla o, in caso contrario, prepararsi al meglio per la guerra; è un principio di natura utilitaristica.
- Se è necessario al conseguimento della pace, rinunciare al diritto su tutto e avere tanta libertà quanta ne hanno gli altri rispetto a ciascuno.
- Osservare la parola data.

La seconda legge è quella che porta al passaggio dallo stato di natura allo stato civile, ovvero a quel patto sociale mediante cui gli uomini rinunciano al “diritto su tutto” (ius in omnia) dello stato di natura trasferendolo a terzi in modo tale che, con la sottomissione della volontà di tutti, si realizzi uno stato che si ponga a difesa per tutti. Questo trasferimento porta così alla costituzione dello Stato, o persona civile, che ingloba in sé la volontà di tutti e colui che lo rappresenta è il sovrano, di cui ogni altro cittadino è suddito 1.
Hobbes diventa così il principale e più coerente teorico dell’assolutismo: il “patto” è irreversibile e unilaterale, in quanto il potere trasmesso al sovrano non può essere revocato dai cittadini, e il monarca non è sottoposto alla legge di natura, in quanto è lui stesso che legifera su ciò che si deve intendere per giusto o sbagliato. Il potere sovrano, inoltre, non è divisibile in poteri che si limitino vicendevolmente, poiché il loro accordo negherebbe la libertà dei cittadini e il disaccordo la guerra civile. Solo lo Stato può quindi distinguere il bene dal male, all’infuori di quei criteri particolari che ne dissolverebbero l’azione.

domenica 16 dicembre 2018

Cartesio

Cartesio nasce il 31 marzo 1596. Nel 1616 si laurea in diritto canonico e civile e nel 1618 si arruola in uno dei due eserciti francesi stanziati a Breda, in Olanda. Nel 1629 risale l'amore per Helene Jans, dalla quale nasce una figlia, Francine, che muore a soli cinque anni. Muore in Svezia nel 1650.  
Tra le opere principali di Cartesio ricordiamo le Regole per la guida dell'Intelligenza, il Discorso sul metodo le Meditazioni sulla filosofia,i Principi di filosofia e le passioni dell'anima.
Cartesio si interroga sul procedimento della conoscenza, rilevando che molto spesso gli uomini incorrono in errori e i fraintendimenti per la mancanza di un metodo rigoroso ed efficace che li guidi nella ricerca della verità. Per questo motivo elabora alcune regole che devono orientare l'indagine scientifica: 
-la regola dell'evidenza, che prescrive di accogliere come vero soltanto ciò che è evidentemente tale;
-regola dell'analisi, che prescrive di dividere ogni problema nelle sue parti elementari;
-regola della sintesi, che prescrive di procedere nella conoscenza con ordine, passando dagli oggetti più semplici a quelli più complessi;
-regola dell'enumerazione, che prescrive di fare sempre enumerazioni complete e revisioni generali, così da essere sicuri di non omettere nulla. 
Il metodo così definito è uno strumento essenziale per avanzare speditamente nell'indagine scientifica, ma non è in grado, da solo, di garantire la certezza delle nostre conoscenze né di fondare in modo sicuro la validità del nostro sapere. Egli ricerca un fondamento certo del sapere attraverso il dubbio metodico la cui estensione è il dubbio universale in base al quale si giunge di dubitare di ogni cosa, ovvero l'ipotesi del genio maligno ingannatore. Lui sostiene che l'unica certezza è rappresentata dal cogito cioè l'intuizione immediata del proprio esistere come soggetto pensante: cogito, ergo sum.
Secondo Cartesio il soggetto è sicuro della propria esistenza come essere pensante quindi ha la certezza delle proprie idee, oggetto immediato del pensiero. Queste si distinguono in:

-idee avventizie, derivanti dall'esperienza 
-idee fattizie, inventate dal soggetto
-idee innate, non provenienti né dall'esperienza ne dal soggetto

Tra esse vi è l'idea di Dio, dalla quale deriva che Dio esiste, infatti l'idea innata di Dio come essere perfetto
  1. non può scaturire da un essere imperfetto, ovvero proporzionalità tra la perfezione di un'idea e la perfezione della sua causa
  2. deve scaturire da un essere perfetto che l'ha impressa nella mente umana, ovvero l'argomento del 'marchio di fabbricazione'
  3. implica necessariamente l'esistenza di Dio, ovvero prova ontologica
Infine egli afferma che se Dio esiste ed è l'essere umano allora Dio è buono e non inganna gli uomini dunque la facoltà conoscitiva degli uomini è affidabile ed è vero ciò che la ragione ci presenta in modo chiaro e distinto.







IL DUALISMO CARTESIANO E L'ANALISI DELLE PASSIONI
Il sistema cartesiano è dominato da un profondo dualismo, che contrappone la materia al pensiero; esso è sia immateriale che realmente distinto dal corpo e dotato di esistenza propria. Nell'uomo tale dualismo si esprime nella separazione tra l’anima, intesa come il complesso delle attività intellettuali coscienti, e il corpo, concepito come una macchina le cui attività sono frutto di leggi meccaniche. Cartesio tenta di superare i problemi derivanti dal dualismo, ricorrendo alla teoria della ghiandola pineale, l’unica componente del cervello non divisa in due parti simmetriche e quindi in grado di unificare le sensazioni e creare una connessione tra spirito e materia.
Nell'ultima sua opera Cartesio si sofferma su un tema delle passioni. Queste sono considerate
positive, a condizione che siano sottomesse alla forza rasserenatrice della ragione. Secondo Cartesio tra le passioni e la ragione esiste una tensione che l’uomo deve ricomporre arrivando al dominio incontrastato della razionalità. La forza dell’animo umano risiede proprio in tale capacità di vincere le emozioni, per raggiungere la completa padronanza di sé e della propria volontà.


Kant

Immanuel Kant è uno dei massimi esponenti del pensiero occidentale, a cui ha dato un'impronta nuova segnando una vera e propria svolta n...